di Paolo Quadrozzi

Due fratelli, una donna, una camera: sono gli ingredienti essenziali di Due Fratelli. Tragedia da camera in 53 giorni, andato in scena fino al 16 giugno 2016 all’Abarico Teatro di Roma. Il palcoscenico del piccolo teatro nel cuore di San Lorenzo ha ospitato la versione del testo di Fausto Paravidino realizzata dagli ex studenti della scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté: Simone Corbisiero, Luca Filippi, Michela Anette Hickox, Riccardo Zonca, Margherita Curci e Fabrizio Piergiovanni.

La cucina di un appartamento di studenti fuorisede fa da cornice alla storia di Boris, Lev ed Erica: due fratelli completamente diversi tra loro – il primo perfezionista e maniaco delle regole, il secondo più scanzonato e sciupafemmine – e una donna che fa girare la testa ad entrambi, scombinando l’equilibrio e i rapporti tra i due. Sullo sfondo la madre di Boris e Lev. Lo spettacolo è un susseguirsi di battute e sketch, momenti di tensione e scontro, attimi di amore e odio. Il risultato finale è uno spettacolo gradevole e recitato bene. Una sola macchia: la bestemmia pronunciata da Lev (interpretato da Simone Corbisiero, che cura anche la regia) in una delle scene più drammatiche. Un errore madornale che ha rischiato di rovinare un prodotto ben riuscito.

Tra i tre protagonisti spicca la figura di Boris, interpretato da Luca Filippi: ​24 anni, talentuoso attore di Rovereto, ha frequentato prima la Scuola Fondamenta e poi si è diplomato alla scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté. Si è fatto notare sia al cinema che in tv. Sul grande schermo lo abbiamo visto nella parte di Dimitri nel film In fondo al bosco diretto da Stefano Lodovichi, mentre in televisione si è fatto conoscere per essere stato uno dei protagonisti dell’episodio numero 7 della serie Non Uccidere di Giuseppe Gagliardi. RomArt Gallery lo ha intervistato.

Boris, il tuo personaggio in Due Fratelli. Tragedia da camera in 53 giorni, ricorda per alcuni aspetti il popolarissimo (e televisivo) Sheldon Cooper di Big Bang Theory. A chi ti sei è ispirato?

«Per interpretare il personaggio di Boris ho preso spunto da vari personaggi presenti nell’immaginario comune. Su tutti spicca Forrest Gump per il modo in cui entra in relazione con gli altri e con il mondo, per la sua innocenza e per la sua genuina ingenuità. Mi piaceva applicare queste qualità a Boris. Ho visto poco di Big Bang Theory ma certamente Sheldon Cooper può essere una bella fonte di ispirazione per questo genere di personalità».

Boris, Lev ed Eric – i tre personaggi dello spettacolo – vivono tra bugie, sogni e progetti falliti. Quanto di quello che avete portato in scena è stato preso dalla realtà che vivono i giovani di oggi?

«Praticamente tutto. Questo testo è stato scritto nel 1998 ma per noi che lo abbiamo letto sei mesi fa ci è apparso subito attuale e vicino. Volevamo raccontare l’incomunicabilità dei giovani di oggi. Per questo lo abbiamo attualizzato inserendo gli smartphone​​. Vivere, mangiare e dormire sotto lo stesso tetto non vuol dire fidarsi l’uno dell’altro. L’egoismo di questi personaggi è una miccia pronta a esplodere».

Qual è la stata la parte più difficile da interpretare del testo di Paravidino?

«Non c’è parte difficile o facile. Ci sono parti che ti piacciono di più, parti che ti piacciono di meno e parti che invece non vorresti nemmeno fare. E si scambiano spesso di posto. Un giorno puoi amare una scena e il giorno dopo la stessa scena la potresti odiare. E non la sopporti più».

Puoi anticiparci qualcosa dei tuoi prossimi lavori? Quando ti rivedremo in scena o al cinema? 

«Prossimamente contiamo di portare lo spettacolo Due Fratelli. Tragedia da camera in 53 giorni in giro per qualche teatro (o qualche cucina) nella prossima stagione teatrale. A luglio sarò in Thailandia per presentare il film Un nuovo giorno al Thailand International Film Destination Festival».

RomArt Gallery chiude tutte le sue interviste con una domanda sull’arte. Qual è il pittore, contemporaneo o del passato, che ami particolarmente? E perché?

«Mi piace molto Klimt perché il suo quadro, La Giuditta II, mi è rimasto impresso da quando l’ho visto per la prima volta su un libro di storia dell’arte alle superiori. Ci ho pensato, ma non saprei dire perché mi piace. Mi piace. Punto».